
Quando mi chiedono di ricordare, provo sempre un po' di fastidio. Anche se l'occasione del ricordo è speciale come questa: le nozze d'oro del Liceo Scientifico, scuola-madre che ha mariti, figli e nipoti di tutte le età. E allora, davanti alla festa, non è buona educazione essere scortesi e declinare l'invito. Anche se, cari professori e studenti di ieri, i miei ricordi, quei ricordi così belli dove ci siete anche voi, mi danno ancora un languido malessere, una gastrite da memoria intasata da tanti pensieri. In genere, tutti i ricordi sono una dittatura: non li scegli mai, sono loro che scelgono te, come diavoli che scelgono un corpo da possedere. E poi lo torturano. I ricordi, maledetti o benedetti, fanno così: ti piegano le vertebre cervicali, fanno ruotare la testa all'indietro anche se non vuoi. I ricordi soffiano nelle orecchie "voltati, guarda com'eri giovane e forte..." Basta un odore, tre accordi di una canzone per caso alla radio di una macchina che per caso passa davanti a te... Basta una ragazza vista da lontano, e subito somiglia a una che... Insomma, sarebbe meglio scordarsi, a comando, di tutto. Fare finta che "ieri" non esista. Ma purtroppo, non si può... E allora, facciamoci un po' torturare...
Il mio arrivo al Liceo, è segnato ottobre 1979. Ero un ragazzo sguaiato, cresciuto per le campagne anghiaresi. Educato da due brave e modeste persone (il mi' babbo e la mi' mamma), maleducato, autodidatta per vocazione, curioso da morire di tutto. Il Liceo, Sansepolcro erano le nuove americhe. La cortina della vita da bambino selvatico si squarciava, aprendo un mondo nuovo. Nuove amicizie, libri e giornali, la musica, su tutto la musica che mi avrebbe cambiato la vita. La scuola sperimentava i primi coraggiosi scambi di studenti con le scuole inglesi ed europee, qualcuno tornava da Londra e portava la nuova musica, il punkrock, e a catena saltava fuori la letteratura dei ribelli tornati di moda: Kerouac, Ginsberg... E poi i cantori oscuri: Poe, Rimbaud, Verlaine, Byron. Ero arrivato al liceo con i capelli a caschetto (alla Mal dei Primitives), una camicia candida e con sopra un improbabile cardigan carta da zucchero confezionato dalla mia vicina di casa. Dopo un anno, nel 1980, quel ragazzino non esisteva più. Sulla testa ciuffi di capelli ritti, sfumature alte, calzature pesanti e abbigliamento in bianco-nero. I colori erano spariti. Non c'era più traccia di quel ragazzino. Visto da fuori, perché dentro, la gioia di vivere e la curiosità erano sempre quelle, anzi, moltiplicate per mille.
Erano anni scanditi da un forte malessere sociale (le BR, la strage di Bologna dove morì il nostro amico anghiarese), e il suo riflesso, per la nostra generazione pre-informatizzata, era solo nei dibattiti scolastici, nella retorica dei compiti in classe, negli improbabili dibattiti da assemblea post-film. Odiavamo i freaks e i fighetti, le categorie politiche (destra, sinistra... Solo anarchia e caos, anche se solo a parole), il terrorismo di destra e di sinistra. La mia classe era un mondo variegato, dove ogni anno appariva qualche satellite ripetente, prontamente importunato e integrato con le "buone maniere". Teppisti, ma mai cattivi. Autori di decine e decine di operazioni senza senso, sempre tutti contro tutti, eppure curiosi da morire. Minimalisti e cultori delle cose più assurde: fanclub di uno scultore genovese (Soravia) sconosciuto ai più; campioni di salto a due piedi sul muro della classe, con arbitri e misure; collezionisti della giustificazione per "motivi di famiglia". Fummo anche fra i primi video-maker in betamax (formato estinto) e vhs; fotografi di grandi promesse già a 16 anni (e qualcuno è professionista del mestiere); scrittori di teatro, musicisti e performer (l'operazione "Suicidio", che venne recensita anche dalla rivista Linus dello scomparso Oreste Del Buono e replicata più volte). Era un gruppo che bolliva, che correva sempre: fughe per andare ai concerti, fughe per scappare dal bagno della scuola per ritirare il compito di matematica svolto 'in esterni' dal professore di ripetizioni (niente palmari o SMS), fughe di amori non corrisposti.
Come si può forse immaginare, specie negli ultimi due anni ('83-'84) molti di noi persero il ritmo inesorabile dei programmi scolastici. Qualcuno fu respinto, qualcuno mollò. Io non potevo permettermelo. Al ritorno dalla gita a Parigi, ultimo ricordo felice della mia avventura liceale, cominciò il dramma dell'ammissione agli esami di maturità. Tutte le tre quinte (A,B,C), molto legate trasversalmente fra di loro, furono massacrate da un'ecatombe di bocciature. Ci voleva una lezione, e la commissione d'esame non si tirò indietro. Otto o nove respinti. Una moltitudine di 36 (voto minimo pre-riforma). Io arrivai all'orale con la mia divisa (maglia dei Clash, cresta e pantaloni mimetici). Avevo due certezze: con tre prove sufficienti, non potevano segarmi e, seconda certezza, del programma di italiano (quarta prova) non avevo un'idea al mondo. Il presidente della commissione non faceva mistero del suo disgusto per come mi ero presentato all'esame. "Prenda l'antologia della letteratura italiana..." "Non ce l'ho", risposi "E perché?" "Non mi entrava il libro nella vespa, e poi io non so niente della letteratura italiana, quindi...." "Mi parli del Cinque Maggio", insisteva..."Le ripeto che non so niente". Urlò cose poco gentili. Per me il Cinque Maggio era la morte di Bobby Sands, eroe irlandese... Provai, qualcuno suggerì Manzoni... Ci provai, e uscì quanto segue: "La calata dei lanzichenecchi al seguito delle truppe imperiali...". Urlò ancora. Presi 2, la povera professoressa d'italiano non mi ha parlato per due anni. Per espiare, ho fatto Lettere con indirizzo Spettacolo. E proprio lei, Giuliana Maggini, mi ha chiesto queste righe. Oggi è una cara amica. Così come il Cincilla, pasionario del Liceo di Sansepolcro...
La diaspora universitaria e della vita adulta, ci ha sparsi per il mondo. E' meglio così. Almeno, i maledetti-benedetti ricordi vengono stuzzicati poco o niente. Un consiglio ai giovani liceali di oggi: quando lascerete la scuola per l'università e per il mondo dei grandi, non fate mai più le cene di classe. Non cercate occasioni ufficiali per stare tutti insieme. E' di una tristezza devastante. Lasciate che questi cinque preziosi, irripetibili anni dormano nell'intimo di ognuno di voi. E' un consiglio da amico.
Dice il saggio:
"Malinconia del passato, gioia del presente, pentimento del futuro... questa è la vita."
(Jim Morrison)
bell'intervento!!Andrea sa come raccontare le cose e trasmettere emozioni...buona domenica!!
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